Frequento ancora l’università quando chiedo a Giulia se conosce i gruppi pro Ana, quegli spazi virtuali in cui gli utenti si scambiano consigli su come diventare anoressici.
L’intervista, nata in modo naturale, in un pomeriggio trascorso in aula studio, ne è la prova. Lei parla, io l’ascolto, e mentre le sue parole prendono forma, sento il bisogno di fissarle su carta.
Trigger warning. In questa intervista tratterò argomenti sensibili come: i gruppi Pro Ana, disturbi alimentari, autolesionismo e suicidio. La sensibilità è un dono fragile ma potente; se non ve la sentite di proseguire, ci vediamo al prossimo articolo.
Cosa sono i gruppi Pro Ana?
È una comunità online in cui le persone promuovono l’anoressia come uno stile di vita piuttosto che come un disturbo da trattare. Il termine “pro-ana” deriva da “pro-anoressia”.
Questi gruppi possono fornire sostegno emotivo a chi ne fa parte, ma spesso veicolano messaggi e contenuti che normalizzano comportamenti pericolosi e autolesionistici legati ai disturbi alimentari, come la perdita di peso estrema e le diete estreme.
La connessione con i gruppi Pro ANA
Quando chiedo a Giulia se conosce i gruppi Pro Ana risponde senza esitare: “Li conosco perché li frequentavo. Avevo un disturbo alimentare; così mi sottoposi a una dieta restrittiva per perdere peso.”
Negli occhi di Giulia non c’è nessun rimorso, nessuna debolezza. Le chiedo di descrivermi le dinamiche interne dei gruppi.
Sforzandosi di ricordare, risponde: “È successo molto tempo fa. All’interno dei gruppi c’erano delle regole da seguire. Chi non le rispettava veniva cacciato fuori. Dicevano di essere contrarie all’anoressia per non essere espulse, ma dalle chat emergeva tutt’altro.
Nei gruppi Pro Ana non si parla mai di anoressia con il suo nome. Ci si scambia invece consigli su come mangiare di meno e su come punirsi se non ci riesce.
Dicevano: ‘mentre mastichi, guardati allo specchio. Non introdurre zuccheri, anche i grassi sono vietati. La Coca Cola Zero è permessa perché non contiene zuccheri, ti gonfia e aumenta il senso di sazietà.
I carboidrati sono il male. No a pasta, riso, pane, pizza e frutta, poiché contengono il fruttosio, ed è uno zucchero. Se mangi di più, insultati davanti allo specchio mentre sei nuda.
Mangia in piatti scuri e piccoli per far risaltare il cibo e avere più consapevolezza di quello che ingurgiti. Utilizza la forchetta, non il cucchiaio. Raccogli una cosa alla volta, non ficcarti tutto in bocca. Tagliati, digiuna e utilizza un elastico sulla pelle per affrontare la fame’.”
Sono esterrefatta; Giulia si ricorda a memoria tutte le regole che circolavano all’interno dei gruppi Pro Ana. Cerco di entrare in un territorio delicato, le chiedo se pratica ancora l’autolesionismo.
Scuote fortunatamente la testa a destra e a sinistra e mi dice: “Mi tagliavo, ma ho smesso quando i miei genitori mi scoprirono. È stato difficile. Per mia madre le malattie mentali non esistevano. Eppure, persi 17 kg dopo un lungo periodo di depressione. Andavo a scuola con le gambe distrutte e camminavo storta perché facevo sport tutti i giorni.
Quando gli altri mi facevano notare che ero dimagrita, rispondevo che non era vero. Poi un giorno, con il mignolo alzato, la mia migliore amica mi disse: ‘sei diventata così’, e mi sentii devastata.
Avevo paura perché non riuscivo a vedere tutto questo cambiamento. Vivevo nella mia bolla, contavo le kcal e un giorno, guardai anche quelle dell’acqua.”
L’autolesionismo e il tentato suicidio, l’influenza dei gruppi Pro Ana.
Domando a Giulia se segue ancora i consigli dei gruppi Pro Ana. Mi dice che ci ha chiuso, ma poi confessa: “Ho tentato il suicidio, due volte. Una volta sono salita sopra il tetto di un parcheggio e ho pensato di buttarmi giù.
Ero depressa, a scuola ero bullizzata e mia madre non mi capiva. Per dormire prendevo i farmaci, la mia testa non smetteva di parlare.
Le chiedo se prende ancora gli psicofarmaci, lei mi risponde:
“Li ho presi per un periodo, nonostante mia madre mi avesse chiesto di smettere.
Prendevo le medicine di nascosto e dissi a mia madre che avevo smesso perché era contraria anche ai farmaci. Ora ho smesso perché devo farmi vedere da uno psichiatra.”
Giulia è sicura di quello che mi dice. Con una lucidità disarmante, mi confessa i suoi peccati. Però, alla semplice domanda “Come stai?”, si destabilizza.
Con un sorriso imbarazzato, come se una domanda così semplice fosse più intima di una confessione suicidaria, mi dice: “Non lo so. Ho paura di dare un giudizio, non voglio dire che sto bene, ma neanche che sto male”.
Riesco ad accennare un’ultima domanda ma non faccio in tempo a finirla, che non siamo più sole. Ci scambiamo uno sguardo d’intesa e la nostra intervista si conclude.
Supporto psicologico e guarigione
Ad oggi il 9% della popolazione americana soffre di un disturbo alimentare; anche in Italia il numero è in costante aumento. Si stima che 3 milioni di italiani soffrano di disturbi alimentari. Sui social, invece, l’anoressia è diventata un trend da condividere.
Se dubitate di avere un disturbo alimentare, contattate il medico di base. Vi indirizzerà a un centro DCA (disturbo del comportamento alimentare). L’ospedale Sacco, a Milano, vanta di un centro specializzato in DCA. I pazienti sono seguiti da un nutrizionista, psichiatra e psicologo/a. Si accede tramite ticket.
Per il supporto psicologico, in mancanza di risorse economiche, vi consiglio di contattare i consultori. Cercate il nome della vostra città più “sportello psicologico gratuito”. Esempio: “Milano sportello psicologico gratuito” e chiedete informazioni. Se avete una domanda, scrivetemi a alessandra.airaudo.writer@gmail.com o lascia un commento qui sotto.
Messaggio alle famiglie
Lancio un messaggio alle famiglie: il supporto sociale fa parte del processo di guarigione dei disturbi alimentari. Le relazioni con i cari influenzano il benessere psicologico e fisico. I disturbi mentali sono reali quanto quelli fisici.
Potete fare la differenza.
Se scoprite che vostro/a figlia/o fa parte di un gruppo Pro Ana, o vi confessa di avere un DCA, non giudicate e non fate pressioni. Praticate l’ascolto attivo e rivolgetevi a un centro specializzato. Partite, se non l’avete già fatto, dal non fare MAI battutine di ogni genere.
Le parole hanno un peso, e diventano coltelli invisibili che lacerano la carne dell’anima; e non è una metafora poetica. Le vostre critiche dettate dal buon senso di aprire la bocca “perché ormai non si può dire più niente”, sono una delle cause dei disturbi alimentari (e non solo).
Giulia mi confessa che il suo disturbo alimentare e l’entrata poi, nei gruppi Pro Ana, sono la conseguenza delle continue critiche sul suo corpo da parte di sua madre.
Conclusioni
Ringrazio Giulia per essersi aperta con me. Chi volesse raccontarmi la sua storia, mi scriva a alessandra.airaudo.writer@gmail.com per un’intervista anonima. Sono qui per sostenervi e non per giudicarvi.
Per interviste cliccate qui, per gli articoli qui.
A Giulia e a voi,
ve se ama.
Ale.
*immagine generata con AI.
Non sapevo dell’esistenza di questi gruppi. Grazie di condividere queste storie ❤️
Bellissima intervista il racconto sulle dinamiche di questi gruppi è straziante.