Salam alaykoum, oggi a “Interviste a persone comuni” conosciamo una storia di violenza infantile.
Meredith (nome di fantasia) dipinge un ritratto crudo degli effetti devastanti della violenza infantile e di come si rifletta nell‘età adulta.
Attraverso le sue parole, ci racconta di un’infanzia segnata dalla negligenza emotiva e dagli abusi; Meredith ci invita a riflettere sulle dinamiche disfunzionali e sull’importanza di una “scuola collettiva” che educhi alla genitorialità collettiva.
DISCLAIMER: Il format “interviste a persone comuni” affronta tematiche differenti. L’intervista di oggi presenta temi sensibili: violenza infantile fisica, sessuale e disturbi alimentari.
Il materiale è stato condiviso con il consenso di Meredith.
Il volto di Meredith esprime fanciullezza.
Quando le chiedo l’età, ride e mi dice che nella vita bisogna mentire su tutto.
Meredith ha e non ha ventiquattro anni.
Nel 2019 le diagnosticano un disturbo della personalità, caratterizzato da depressione e allucinazioni. È cresciuta con un padre anaffettivo e una madre che, seppur presente, la tradisce appena può.
Questa è la storia di Meredith.
Com’è stata la tua infanzia?
Meredith: “Segnata dal desiderio di morire. Ero molto religiosa e pregavo spesso.
Per mio padre, ero un oggetto su cui sfogare le sue frustrazioni. Ero la miccia per accendere il fuoco. Mi picchiava per ogni futile motivo. Cadeva un bicchiere? Sapevo che di lì a poco mi avrebbe massacrata. Ogni errore significava dolore”.
Ti senti a tuo agio nel raccontarci un episodio della tua esperienza che abbia avuto un forte impatto su di te?
Meredith: “Subisco violenza da quando sono nata. Una volta, prima di uscire per andare a scuola, misi le ciabatte al posto delle scarpe.
Mio padre mi urlò contro che ero ‘m***a’, una ‘c***a’ e mentre lui reagiva così, io urlavo nella testa ‘Ecco che arriva, eccolo che arriva. Adesso mi massacra’. Mi preparavo in questo modo a ricevere le botte. Ho imparato che la violenza è amore.
Mio padre diceva che mi picchiava perché mi voleva bene, che era una manifestazione del suo amore.
Io, non mi sento una vittima. Mi sento la carnefice perché sono consapevole di potere diventare una madre violenta. Per questo non voglio avere figli; per non avere gli stessi comportamenti abusanti di mio padre”.
Grazie Meredith per avermi raccontato questo episodio drammatico. Avevi un posto sicuro nel quale stare?
Meredith: “Io vivevo costantemente all’inferno. A quattordici anni trovavo rifugio in un edificio abbandonato dove le persone si bucavano [n.d.r. eroina].
Dopo la scuola andavo lì e fantasticavo. Dovevo vivere nella fantasia per non sopportare la crudeltà del mondo reale. Era un incubo sia a casa che a scuola, avevo il mondo contro, o almeno così credevo”.
Subivi bullismo a scuola?
Meredith: “Sì, mi consideravano brutta, sfigata e povera ma erano dei fighetti tamarri. Cominciai a soffrire di ansia sociale e mutismo selettivo.
Io non volevo aprire bocca per evitare che mio padre mi picchiasse. Cosa si aspettavano gli adulti? Sono cresciuta in un ambiente traumatizzante.
Tutti i ragazzi con i quali uscivo mi chiedevano se fossi una bambola perché rimanevo in silenzio tutto il tempo e poi, lasciandomi, perché non potevano stare con una che non parla, io ne soffrivo molto.
Sembravo timida o a disagio, ma era la mia arma di difesa per non ricevere le botte. Lo stesso a scuola. Nessuno si domandava perché io fossi così.
‘Allora ce l’hai la lingua’ mi dicevano quando spiccicavo qualche parola. I miei genitori sapevano tutto ma fingevano che questi problemi non esistessero. Era troppo imbarazzante per loro”.
Non spiccicando parola come compensavi i bisogni primari e affettivi?
Meredith: “Hanno sempre considerato i miei bisogni”.
Da cosa pensi sia nato il tuo disturbo alimentare?
Meredith: “La bulimia? Mangiavo fino a vomitare. Quelli erano bisogni che non potevo colmare, io non potevo farlo perché mi sentivo vuota. Sono rassegnata”.
Prima mi hai detto che i tuoi genitori soddisfacevano a pieno i tuoi bisogni. È così?
Meredith: “No. I miei mi tenevano a dieta ferrea. A loro volta vittime di un disturbo alimentare. I bambini dovevano essere magri. Mi facevano mangiare poco, lo zucchero non esisteva, così come la Nutella. I dolci non mi sono mai mancati, non erano mai presenti in casa.
I pranzi e le cene erano il momento del patibolo. Io e i miei fratelli sapevamo che mio padre ci avrebbe insultato uno ad uno…
Poi venivo bullizzata dai professori per essere vegetariana, specialmente da quella di ginnastica.
Pregavo ogni notte che smettessero ma puntualmente, mi obbligavano a mangiare gli animali e io sboccavo.
Ogni volta che venivo obbligata a farlo, mi rifiutavo e passavo il pranzo in punizione.
Io non potevo mangiarli, mi faceva stare male.
Non c’è un minimo di educazione o controllo. Quando i tuoi ti lasciano a scuola, dove non ci sono telecamere, tutto può succedere. Anche se sei piccolo, non importa, io ricordo ogni cosa.
Se c’è una cosa che vorrei cambiasse in questo mondo? Un corso come la patente per diventare genitori e insegnanti, fatto come si deve.
I bambini sono il futuro e non possiamo permetterci di crescere dei pazzi”.
Come colmi i bisogni oggi?
Meredith: “Ho una dipendenza affettiva e compulsiva con lo shopping, con l’amore [ndr tossico] e lo xanax [ndr antiasiolitico]. Colmo il vuoto con qualsiasi cazzata che io possa comprare e rendermi felice”
Questi oggetti non colmano il tuo vuoto perché non rispondono a quello di cui hai bisogno, giusto?
Meredith: “Ale io a volte mi sento come se fossi morta dentro. Perché se da piccola non hai una roccia, in psicologia hanno dei nomi come “introspezione”, come cresci? Io quando sono felice parlo come una bambina. Faccio le smorfie, è normale? Ho quasi 31 anni”.
Trovo le tue smorfie caratteristiche e molto belle. Quali sono i tuoi bisogni?
Meredith: “Io ho bisogno di tutto”.
I tuoi bisogni affettivi sono stati colmati?
Meredith: “Assolutamente no. Mia madre mi dava i bacini; lei mi ha dato tanto amore perché a differenza di mio padre, lei era in grado di manifestarlo.
Però lei mi tradiva affettivamente e questo è stato un trauma peggiore. Ero abituata a mio padre, e da lei non mi aspettavo un comportamento simile. Però quando mia madre si ammalava di tumore, io ho sempre pregato per la sua salute; sentivo che se fosse morte mio padre ci avrebbe ucciso”.
Cosa teneva unita la tua famiglia?
Meredith: “Io e i miei fratelli eravamo un mezzo per mantenere la stabilità familiare. I miei genitori, orfani da piccoli, avevano il sogno di una famiglia numerosa e felice.
A trent’anni [n.d.r. questa la sua vera età] ho perdonato la mia famiglia, anche dopo che mi sono sentita tradita da mia madre.
Mio padre aveva cominciato a seguirmi fuori casa e io mi ero stufata delle violenze. Arrivava a picchiarmi anche con un ombrello. Un giorno mi ribellai. Mentre mia madre mi guardava silenziosa da un angolo, mio padre gridava ‘non mi interessa se vado in prigione’”.
Vorresti parlarmi di questo tradimento? Quando sei sentita tradita la prima volta da tua madre?
Meredith: “Avevo circa undici anni, è stata una cosa molto graduale. Ero molto bella, ero brava a scuola, ero educata, gentile e intelligente.
Mia madre provava una forte gelosia nei miei confronti. Mio padre mi massaggiava i piedi per un problema di salute, però quando lo faceva, saliva sempre di più. Io so di averci messo della malizia, perché ogni tanto, sognavo che mio padre mi stuprasse.
Lui era ingenuo. Faceva dei commenti viscidi sulle mie amiche, su di me e sulle mie tette. Nei sogni lui poi, mi massaggiava, poi cominciava il rapporto non consensuale mentre io rimanevo pietrificata a subire. Penso che fosse una mia paura.
Sono sicura che non mi abbia mai stuprato e penso che mio padre sia innocente. Sai che gli psicopatici [n.d.r. riferendosi anche al padre] non hanno impulsi? I miei hanno dormito per trent’anni con la porta aperta”.
Pensi che tuo padre avesse un’amante?
Meredith: “Mio padre non era in grado di amare una donna, di certo non era in grado di amarne due.
Loro non hanno una vita. Mio padre morirebbe per mia madre, è troppo dipendente affettivo e poi si guardava i porno lesbo.
Ricordo che una sera andavo in cucina e lui era al computer che guardava quella roba. Vedevo quanto era impacciato, non era capace di dare una spiegazione e io non potevo che provare un forte imbarazzo”.
Vorrei capire meglio che tipo di commenti facesse tuo padre.
Meredith: “Io da persona sveglia quale sono, dovevo capire che non potevo dire tutto quello che mi frullava in testa. Un giorno, durante una cena, facevo notare che le tette di una mia amica erano strane, mio padre mi rispose che erano a noce”.
“L’intervista a persone comuni” è conclusa.
Vorrei ora porre l’attenzione su un aspetto illuminante di questa intervista: Meredith parla di una scuola per genitori che dovrebbe essere d’obbligo.
Nei casi più semplici, concepire un figlio può sembrare facile, ma è nella crescita e nell’educazione che si manifesta la vera sfida.
L’amore, se esercitato in forma di manifestazione affettuosa, non basta a mantenere i rapporti, i quali devono essere supportati dalla conoscenza, dalla comprensione e dal rispetto dell’altro, anche quando bisogna venire meno alle proprie convinzioni.
Per approfondire l’aspetto dell’amore, vi rimando alla lettura di Erich Fromm e “L’arte di Amare”, ne parlo nel mio articolo qui.
Oltre alla scuola per genitori, sarebbe utile un corso di gestione e riconoscimento delle emozioni.
Se volete diventare genitori o lo siete già, seguite la psicologa Francesca Cardini su Instagram, farete del bene, non solo al vostro pargolo, ma anche al vostro bambino interiore.
Cardini crea contenuti illuminanti e arricchenti sulla genitorialità. Fatevi un giro e non ve ne pentirete.
Riguardo i bisogni di Meredith concludo con una citazione della mia psicologa: “Hai solo una possibilità per non farti del male. Tu sei padrona di te stessa e nessuno può colmare i tuoi bisogni”.
Vi ricordo nei miei Duaa, voi ricordatemi nei vostri.
La la illah allah.
Alla prossima,
Alessandra
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