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Quando qualcuno ha posato il telefono sul letto di nonna, vicino alle sue gambe, avrei voluto dirgli di spostarlo ma lei era già morta e io sono stata in silenzio. 

Il letto sul quale è spirata è ancora in salotto.

Nessuno ha il coraggio di cambiare le lenzuola; d’altronde, il suo odore è ancora sopra il cuscino.

Mia cugina ci ha dormito sopra.
Fiocco, la gatta cicciona e antipatica (solo perché non mi sopporta), si è appisolata su.
Mio cugino ci è salito sopra per raggiungere la finestra e sistemarla.
Io mi sono seduta e ho annusato il suo cuscino. Non sarei in grado di riconoscere il suo odore tra cinquanta profumi, non sono certa nemmeno di ricordarlo. Però, ho presente ogni crepa del suo viso, ogni capello ancora grigio a 83 anni. 

Vedo nonna “papereggiare” per casa e sistemare uno straccio perfettamente già in ordine. Sento le mie grida dalle scale, mentre lei è giù in taverna a fare la lavatrice, “nonna sono arrivata“, “ora salgo su” risponde lei. Potrei dire che, se non pecco d’arroganza, riconoscerei la sua voce tra tante, anzi, di riuscire a sentirla anche nel silenzio.

Nonna mi ha visto nascere, io l’ho vista morire. Se n’è andata davanti a un corredo funebre di teste amiche: figli, nipoti e nuora. È morta alle 7.43, credo. Erano gli ultimi cinque respiri. Il viso scavato, le orbite degli occhi violacee e la pelle cianotica. Aveva lo sguardo della morte disegnato sulla pelle sottile. Un penultimo respiro di fatica e poi “non respira più” ho detto. “No, sta respirando così ora, rimane in apnea e poi, ecco, respira”. Siamo rimasti in silenzio. Il tempo di terminare la frase, un altro respiro affaticato. Siamo rimasti lì a guardarla e poi mio zio ha detto “questo è molto lungo“, decretando così la sua morte. Ho pensato per un attimo che avrei potuto vedere l’anima uscirle dalla bocca, invece, ho visto il suo petto fermarsi del tutto. 

Il medico è arrivato tre ore dopo, quando le sue mani si erano gelate e i piedi inarcati. Dopo che nonna è morta, ho infilato la mano nella manica della sua vestaglia perché il suo braccio emanava ancora calore. Ho voluto trattenerne ancora un po’.

L’ho baciata in viso e pensato a Dio, solo lui sa quanti baci le ho dato in questa vita. Quante volte l’ho abbracciata da dietro e stretta forte, così tanto da crederla immortale.

Tutti potevano morire, tranne lei. Poi, d’un tratto, guardandola nella bara, ho visto che poteva essere un’anziana qualunque, che è il mio amore per lei a fare la differenza. Anche se mi è morta davanti e so che non c’è più, la saluto mentre esco di casa.

Quando scendo in taverna parlo di lei a Dio; so che nonna ha smesso di sentirmi. L’unica cosa che rasserena il mio cuore triste è il ricordo di Allah ﷻ (dhikr).

Ho pianto la sua morte per anni e ora che non c’è più, capisco che il dolore non mi ha preparata per dirle addio. 

Mi rincuora solo che si muore per mano di Allah ﷻ; non è stato il cancro o un’ischemia a ucciderla, è stato Dio e l’ha fatto nel modo più dolce possibile. Se n’è andata dormendo, con l’amore di tutti.

Ora la rivedo, anzi, nonna ti vedo.

Sei alla fermata del bus quando ti chiamo per dirti che sto arrivando.
Sei a trafficare con la lavatrice.
Sei sul divano quando ti appisoli e dici “sto solo riposando gli occhi”.
Sei i grattini sulla testa e il fastidio sotto la cintura del reggiseno.
Sei tu che ti preoccupi sia morta perché di colpo smetto di russare.
Sei io e sei tu mentre dormiamo insieme nel lettone, io ti chiedo di raccontarmi Barbablù anche se ho superato i vent’anni. 
Sei giù in taverna quando ti chiedo se vuoi venire al mare.
Sei tu quando ci dici che hai le tue cose da fare.
Sei la mattina presto di una calda estate calabrese.
Sei mia nonna.
Sei la vita mia.

Alle persone che mi fanno le condoglianze vorrei chiederne il motivo. Nonna è giù in taverna a sistemare i panni, in cucina a preparare pasta e fagioli e in salotto a sonnecchiare.

Morta e viva più che mai.


Ciao vita mia

Alessandra la tua preferita*

*Ho salvato il mio nome sulla sua rubrica come “Alessandra preferita“, mia nonna non se n’è accorta per un anno intero. Se n’è resa conto mia zia (sempre dopo un anno) che quando, passandole il telefono, ha letto il nome ad alta voce. 

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